Standard and Poor’s stavolta l’ha fatta grossa.
Non giudichiamo il contenuto delle osservazioni che hanno portato al downgrade dell’Italia, Francia, Austria e Spagna (con l’Italia in serie B, con due gradini in meno) ma “il momento” in cui viene emesso il comunicato:
“Alcuni giorni dopo che l’Italia aveva collocato titoli ad un tasso quasi normale (il 2,75% circa) e che Mario Monti ed Angela Merkel avevano raggiunto insieme alla Francia un accordo per risolvere la crisi.”
Segno che l’Agenzia non è apolitca, non difende gli investitori… d’altronde è americana, e a quanto pare l’economia statunitense ha cominciato a vacillare proprio dopo l’introduzione della moneta unica europea. La sensazione è che il downgrade comminato proprio agli stati uniti era tutta una strategia, con il benestare cinese, che chiedeva addirittura, in blef, di cambiare la moneta pubblica del dollaro. Questo per evitare che qualcuno pensasse che le valutazioni pesanti e successive sull’Europa fossero di parte.
Quindi facciamo appello alle forze politiche europee, affinchè regolamentino le attività di tali agenzia di rating, che onestamente non sembrano proprio asetticamente immuni da interessi statali.
Pensanti le reazioni della Francia e addirittura di Mari Draghi, presidente della BCE, che ha detto che il tutto sembra frutto di un disegno perverso.