Risarcimento danno biologico negato per super lavoro volontario.

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Con la sentenza n. 12725 del 23 maggio 2013, la Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso proposto da un dirigente contro il proprio datore di  lavoro, per il riconoscimento del risarcimento del danno biologico, derivante da uno stress lavorativo per carichi di lavoro eccessivi.

I giudici della Corte Suprema, hanno negato il risarcimento del danno chiesto dal dipendente, precisando che nella fattispecie “si resta fuori dall’ambito applicativo dell’art. 2087 del codice civile che recita «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro» che riguarda una responsabilità contrattuale legata “a criteri probabilistici e non solo possibilistici”.

 La Corte rigetta la richiesta di risarcimento del danno biologico,  in quanto “nel momento in cui venga riscontrato un logoramento psico-fisico del dipendetente, che “volontariamente” si sia esposto ad impegni di lavoro gravosi per un periodo di tempo più o meno lungo, in linea di principio, ha facoltà di asternersene, quando tali prestazioni lavorative possano arrecare pregiudizio alla sua salute”.

Ciò in quanto coinvolto nel diritto fondamente protetto dall’art. 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”  confermato dalle sentenze: Cass. 10 agosto 2012 n 14375; Cass. 18 maggio 2006 n 11664; Cass. 9 maggio 2005 n 9576.

Tale principio vale in misura superiore quando il dipendente “sia un dirigente” a cui venga riconosciuta la piena autonomia organizzativa del lavoro da compiere, compreso orari e ritmi di lavoro, che avrebbe potuto gestire meglio (in quanto ne aveva facoltà) nell’ottica di salvaguardia della sua salute, ragione per cui la risarcimento del danno, non è stato accordato.

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