A cura di Serena GALEAZZI
Il “nuovo” redditometro
Il “nuovo” redditometro delineato dall’art. 38, comma 5, del D.P.R. 600/73 presenta sostanziali differenze rispetto alla vecchia versione dello strumento che, elaborato negli anni ’90 si era dimostrato non più rispondente alle mutate condizioni socio-economiche del Paese poiché basato su elementi datati, non idonei ad esprimere una reale capacità contributiva (tanto che, nella pratica, capitava spesso di avere a che fare con accertamenti “ibridi” in cui i dati risultanti dal redditometro venivano integrati con quelli relativi al sintetico “puro” per tenere conto di tutti gli elementi non ricompresi nel primo).
L’intervento normativo ha “aggiornato” lo strumento ampliando il novero delle spese rilevanti ai fini della determinazione del reddito (i c.d. beni-indice), ma soprattutto modificando la metodologia matematico-statistica alla base della ricostruzione induttiva, tramite l’introduzione di correttivi che tengano conto sia della composizione familiare che della collocazione territoriale: in tal modo, gli elementi parametrici utilizzati nel calcolo non dovrebbero avere una valenza assoluta, bensì adattarsi alla situazione reale non solo del singolo contribuente, ma dell’intero nucleo familiare (in ossequio a quanto già delineato nella circ. n. 49/E del 9 agosto 2007).
Da questo punto di vista, le differenze rispetto al passato sono notevoli poiché mentre prima il riferimento ai redditi dei familiari poteva essere fatto valere solo in sede di contraddittorio con l’ufficio, ora tale valutazione, obbligatoria per legge, dovrebbe precedere l’invio di qualunque tipo di atto al contribuente.
In secondo luogo, è stata abbassata da 1/4 ad 1/5 la franchigia affinché lo scostamento tra reddito dichiarato e reddito complessivo accertabile possa essere considerato rilevante ai fini dell’attivazione del redditometro; e tale incoerenza non dovrà più essere rilevata per 2 o più periodi d’imposta: per cui sarà sufficiente che in un solo periodo d’imposta il reddito complessivo accertabile ecceda almeno del 20% rispetto a quello dichiarato.
In tale contesto, assume un ruolo centrale il contraddittorio con l’ufficio che dovrà essere attivato, obbligatoriamente, in due momenti, ovvero prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento e successivamente, in fase di accertamento con adesione.
Ed è proprio in tale sede che il contribuente dovrà fornire dimostrazione della fonte all’origine della sua capacità di spesa. Sostanzialmente, quindi, il confronto non sarà tra spese sostenute nel periodo d’imposta e reddito dello stesso periodo, bensì tra spese e disponibilità finanziarie complessive (proprie o derivanti da terze economie); è evidente l’assoluta centralità assunta dalle movimentazione bancarie in sede di prova contraria, fermo restando che l’ufficio (ed il giudice) non potranno non tenere conto di disponibilità derivanti da un disinvestimento (ad es. vendita di un immobile) che non siano state versate su alcun conto corrente.
E’ stata totalmente riformata anche la disciplina relativa agli incrementi patrimoniali: questi ultimi, infatti, non si presumono più sostenuti con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui sono stati effettuati e nei 4 precedenti, bensì finanziati con redditi maturati nello stesso periodo, a meno che il contribuente non riesca a dimostrare il contrario.
Stando alle prime indiscrezioni, l’applicazione del nuovo redditometro porterebbe alla determinazione di redditi inferiori rispetto a quelli risultanti dalla versione precedente dello strumento; l’Agenzia delle Entrate ha escluso la possibilità di un’applicazione retroattiva dello stesso (in sostanza, il contribuente non potrà utilizzare i dati, più favorevoli, risultanti dal “nuovo” redditometro negli accertamenti in corso), ma, stante, l’analogia con gli studi di settore, non si condivide tale presa di posizione.
Da ultimo, non è ancora chiara la relazione tra nuovo redditometro e “redditest”. Quest’ultimo offre la possibilità di valutare il livello di coerenza tra reddito dichiarato e spese sostenute nel periodo d’imposta dalla famiglia, mentre il primo, pur dovendo tenere conto del correttivo “nucleo familiare”, deve poi determinare il reddito del singolo componente della famiglia (dal dato aggregato a livello di redditest, si deve cioè giungere al reddito della persona fisica).
Lo riteniamo strumento iniquo e non consono all’individuazione di evasione fiscali certe, tant’è che in questa fase di campagna elettorale, quasi tutti gli schieramenti ne promettono l’abolizione.
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