La regola civilistica per la valutazione delle rimanenze di magazzino è contenuta nell’articolo 2426, primo comma, punto 9, dove si enuncia “le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione”. Il documento n. 13 dell’OIC, specificatamente dedicato alle rimanenze di magazzino, riprende questa affermazione e ritiene, in linea con la prassi internazionale, che le rimanenze di magazzino siano “costi da rinviare al futuro”, prudenzialmente svalutati quando il valore di mercato raggiunga livelli inferiori. Si rigetta quindi la possibilità di includere nel valore dei beni in magazzino anche parte del margine reddituale in corso di formazione.
Il criterio base di valutazione è pertanto il costo storico di acquisto o di produzione; si utilizzerà il costo di acquisto per valutare materie prime, sussidiarie, di consumo, semilavorati d’acquisto e per le merci; mentre sarà rilevante il osto di produzione per valutare i prodotti in corso di lavorazione, i semilavorati di produzione ed i prodotti finiti. Qualora, il valore di realizzo stimato alla chiusura dell’esercizio sia minore, il costo dovrà essere svalutato prudenzialmente. Come regola base per la determinazione, il documento n. 13 dell’OIC stabilisce che il costo comprende il complesso delle spese sostenute per avere la disponibilità delle giacenze nel luogo e nella condizione in cui si trovano al momento della valutazione.
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