Riteniamo opportuno ricordare che nel 2011 sono state varate “cinque manovre correttive” con sostanziose introduzioni di nuove tasse e di nuovi adempimenti sia a carico delle imprese che (soprattuttto tasse) delle famiglie. Ciò proprio nella considerazione che in questi giorni sia le Agenzie di Rating “Fitch e S&P” che il Centro Studi di Confindustria hanno previsto che
“il nostro Paese nel 2012 sarà in recessione”. Il Centro Studi di Confindustria ha calcolato un rallentamento della crescita pari all’1,6% e la disoccupazione che sale al 9%.
Ma ci chiediamo “come poteva essere altrimenti”? in un rapporto di causa-effetto conseguente a questo pesante giro di vite su imprese, consumatori e lavoratori.
In primo luogo crediamo che non era sicuramente il momento di aumentare gli adempimenti fiscali a carico delle imprese, e neanche il momento di far salire la pressione fiscale, con l’introduzione di nuove tasse a carico dell’intera popolazione produttiva.
“Una manovra (ricordiamo) nata per la crescita e la ripresa”, (quella che i mercati finanziari si aspettavano affinchè il nostro Paese potesse, in prospettiva, ripagare il debito sovrano) mentre invece si sta percependo solo una fuga di capitali verso paradisi fiscali, ed imprese che chiudono o licenziano.
Queste ultime, soprattutto dopo la manovra Monti, ormai vedono lo Stato come un’entità ostile, uno Stato che non incentiva la propria ripresa e la crescita del prodotto, ma che anzi la deprime.
Inoltre non era sicuramente il momento di ridurre la tracciabilità del contante a 1000 euro. Le Imprese si sentono attaccate, controllate, non libere nella proprie iniziative ed idee imprenditoriali.
Crediamo che solo con una riduzione della pressione fiscale e degli adempimenti a carico delle aziende si possa evidentemente combattere l’evasione, (che per inciso deprechiamo) non sicuramente mediante uno stato di polizia tributaria, e soprattutto nella considerazione della gravità del momento.
In questa fase non è prioritario recuperare risorse una tantum ma ridare slancio ai consumi e quindi alle aziende.
Molto grave è la realtà delle cose: il nostro debito pubblico sta crescendo (1909 mld il rapporto Banca d’Italia) mentre il Pil è previsto in forte diminuzione.
Indirettamente la stretta sulle famiglie e quindi sui consumi, deprimerà la commercializzazione di beni e servizi.
Alla fine, non c’erà bisogno di Fitch, S&P e del Centro Studi di Confindustria per capire che la recessione era scontata, ma vogliamo ribadire e ricordare al Premier, che la sua MANOVRA era nata prevalentemente per ridare slancio alle Imprese e soprattutto ai benedetti “consumi”, mentre stiamo assistendo ad un depauperamento delle nostre aziende e del nostro sistema produttivo: non si ha più nè voglia nè forza di investire in attività imprendoriali o continuare ad operare in questo Paese.
L’errore madornale è spendere delle risorse per agevolare le imprese come l’introduzione dell’ACE o la riduzione dell’IRAP (manovra Monti) , mentre
non ci si è accorti che alle IMPRSE manca la materia prima ossia: “I CONSUMI”.
Oggi dopo la Manovra salva-Italia sono ancora più depressi:
- con la stretta sulle famiglie tramite la reintroduzione dell’ICI, l’addizionale IRPEF e il giro di vite sulle pensioni che nel breve ha disinnescato il ricambio generazionale a danno dei giovani;
- con l’aumento indiretto dal 2012 dei costi per energia elettrica e gas;
oltre a capire ovviamente che adesso è molto difficile e più oneroso accedere a “finanziamenti personali” presso gli Istituti di Credito.
Le conseguenze di tutto ciò sono due effetti gravemente negativi: 1) la recessione e 2) gli oneri finanziari sul debito in ascesa.
Il Governo dovrebbe varare una misura molto semplice:
“prendere …. risorse importanti dai grandi patrimoni e metterle direttamente nelle tasche di lavoratori e pensionati”.
In ogni caso abbiamo la sicurezza che il nostro premier (di cui abbiamo piena fiducia) questo già lo sappia, e che accanto alla manovra già varata, inserirà misure per la crescita e lo sviluppo, e per la diminuzione della disoccupazione come le liberalizzazioni.
Non bisogna dimenticare che il 12 novembre 2011, quando l’ex premier ha rassegnato le dimissioni lo spread btp-bund aveva raggiunto quota 575 punti; con l’entrata in campo di Monti oggi lo spread è stabile a 450 punti con tendenza al ribasso. Altri 10 giorni e sarebbe stata bancarotta, e a quel punto, i pensionati non solo non avrebbe percepito la perequazione automatica, ma avrebbero rischiato di non ricevere più la pensione e i dipendenti pubblici il proprio stipendio.