Il punto sul redditometro

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A cura di Serena Galeazzi

Redditometro: facciamo il punto

L’art. 22 del D.L. n. 78/2010, conv, con modif. con la L. 30 luglio 2012, n. 122, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina dell’accertamento sintetico, “riscrivendo” l’art. 38, commi dal 4º all’8º, del D.P.R. 600/73 e delimitando con maggiore precisione la differenza tra accertamento sintetico puro e redditometro.
Il concetto è lo stesso, il livello di spesa deve essere coerente con le entrare reddituali, ma il procedimento di quantificazione del reddito è diverso poiché mentre l’accertamento sintetico (delineato dal comma 4) si basa “sulle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta” e presume che a queste spese corrisponda un reddito uguale o superiore, il redditometro (delineato dal comma 5) si basa “sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva” (tenendo conto anche del nucleo familiare e del contesto territoriale) e procede alla normalizzazione del reddito atteso tramite determinati coefficienti matematici.
In sostanza, come avveniva in passato, ci si troverà di fronte ad un redditometro solo laddove l’ufficio baserà la ricostruzione induttiva del reddito sugli elementi specificamente individuati con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tale decreto, pubblicato il 24 dicembre 2012, prende in considerazione un numero di spese notevolmente superiore rispetto al passato (si tratta di ben 100 diverse voci di spese), estendendo, in tal modo, l’ambito di applicazione dello strumento ad una serie di elementi, come ad esempio le spese per viaggi o per le rate di leasing, prima escluse ed assoggettate alla disciplina del sintetico puro.
Il restiling del redditometro si è reso necessario al fine di renderlo maggiormente coerente con il mutato contesto socio-economico, ma ciò che ancora non convince è il meccanismo previsto per la quantificazione del reddito e l’uso che l’Agenzia delle Entrate intende farne. E’ stato più volte dichiarato che non sarà utilizzato per accertamenti di massa, ma che sarà, invece, uno strumento di compliance finalizzato ad orientare i contribuenti a dichiarare un reddito coerente rispetto alla loro reale capacità di spesa. Alla funzione accertativa in senso stretto, si affiancherà quella della valutazione del rischio di evasione: non più solo strumento di determinazione del reddito, ma strumento di selezione dei soggetti da sottoporre a controllo e di supporto ad altre metodologie accertative.
La sua applicazione resta subordinata all’emanazione di una circolare dell’Agenzia delle Entrate (prevista nei prossimi mesi), che ha già anticipato:
• l’irrilevanza degli scostamenti tra reddito dichiarato e reddito “presunto” inferiori a 12.000 euro;
• la marginalità nell’utilizzo dei valori Istat, a fronte delle spese effettivamente sostenute;
• la possibilità di una distribuzione pluriennale degli incrementi patrimoniali.
Il tutto, finalizzato ad un utilizzo intelligente e razionale del redditometro (anche in ossequio al monito lanciato dalla Corte dei Conti che ha inviato gli uffici ad adeguare le risultanze delle banche dati alle effettive titolarità soggettive) che consenta di scovare le vere sacche di evasione senza perseguitare i contribuenti, senza alimentare psicosi e condizionamenti sulle scelte di spesa, ma soprattutto garantendo la possibilità di dare una concreta (e non diabolica) prova contraria.
Emerge, pertanto, come per tutti gli strumenti di determinazione presuntiva del reddito, l’esigenza di adattare le risultanze di un procedimento matematico-statistico alle concrete situazioni di vita del singolo contribuente.

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