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Il Pd va a vedere le carte dei 5 stelle. Ma il “secondo forno” è chiuso davvero?

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Il Pd va a vedere le carte dei 5 stelle. “Dalle proposte e dai principi da noi illustrati al Capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio, emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare”, afferma infatti Nicola Zingaretti. Ne è convinto anche il renziano Andrea Marcucci: “Credo che ci siano le condizioni per avviare un dialogo fattivo con il M5s. L’obiettivo di arrivare ad un programma rigoroso nei tempi celeri che vuole il Capo dello Stato, è raggiungibile”, sostiene il capogruppo al Senato.

Il cauto ottimismo del Pd

Oggi dovrebbe già svolgersi il primo incontro tra le due delegazioni: al tavolo dovrebbero sedersi, viene spiegato, i due presidenti dei gruppi Delrio e Marcucci, e potrebbero far parte della delegazione anche i due vicesegretari, De Micheli e Orlando (ma nulla è ancora deciso). Tra i dem c’è cauto ottimismo su un buon esito del faccia a faccia, anche perché, viene osservato, la posizione espressa da Di Maio sul taglio dei parlamentari, prioritario sì ma l’arco temporale indicato è la legislatura, è compatibile con la linea Pd. Tuttavia, non sono sfuggiti in casa dem alcuni particolari che hanno innescato alcuni sospetti, come il fatto che Di Maio dopo le consultazioni non abbia mai nominato il Pd, e che non abbia chiuso totalmente e categoricamente alla Lega.

Sospetti accresciuti da alcune indiscrezioni trapelate dalla riunione dei parlamentari M5s, in cui non si esclude un possibile nuovo contatto tra ex alleati. Sulla Lega, osservano fonti parlamentari dem sia di maggioranza che vicine all’ex premier, i 5 stelle non sono stati chiari, resta quindi qualche perplessità e preoccupa il doppio forno che magari i pentastellati possono voler portare avanti da una parte con i dem e dall’altra con i leghisti. Altre fonti Pd, più categoriche, affermano senza mezzi termini: “Non si possono fare giochetti, nelle prossime ore si definirà il percorso e non ci sono altre alternative. O un governo con noi o il voto”.

Altri esponenti dem, tuttavia, tendono a minimizzare l’atteggiamento ondivago dei 5 stelle, derubricandolo a “tattica per alzare la posta”. Insomma, un riavvio del dialogo con la Lega “non crediamo sia una vera ipotesi sul campo”. E poi, si osserva ancora, i 5 stelle devono capire che le strade sono due: o accordo con Pd o voto, e sanno che ai dem la seconda opzione non dispiacerebbe. Se invece vogliono, viene ancora osservato, tornare con Salvini, prego si accomodino, ma la Lega ti vota il taglio dei parlamentari e così si torna a elezioni l’anno prossimo. 

Lo scontro interno sui “tre paletti”

In giornata era salita la temperatura in casa dem, con sospetti e fibrillazioni reciproche tra le diverse ‘anime’. La scintilla è stata un’indiscrezione secondo cui Zingaretti alle consultazioni al Colle avrebbe illustrato tre paletti “non negoziabili”. Ipotesi che ha fatto insorgere i renziani: “Siamo stupiti”, la reazione a caldo. “Se si voleva far fallire la trattativa lo si sarebbe dovuto dire subito”. Insomma, non era questa l’intesa raggiunta all’unanimità dal partito, viene ricordato. Ma come, si ragiona ancora, “incassi l’unanimità della direzione e poi vai alle consultazioni e detti altre condizioni? Onestamente non ne sapevamo nulla, vedremo…”.

Dal Pd si affrettano a spiegare che non vi è stato alcun cambio di passo, i tre punti rappresentano la sintesi dei 5 punti votati dalla direzione. La strada per un accordo con M5s per il Pd “è come ieri”, afferma il vicesegretario Andrea Orlando. “Non abbiamo alzato il tiro – osserva – ma sono le condizioni per un confronto”. “Abbiamo detto esplicitamente che siamo disponibili ad un governo di svolta che affronti i problemi veri del paese”, dichiara Graziano Delrio, presidente dei deputati del Partito Democratico, oggi nella delegazione salita al Colle, e che garantisce: “Nessun tentativo di far fallire quindi, ma piuttosto di fondare su solide basi un governo all’altezza della crisi”. 

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