Sei mesi fa la sezione distaccata del Tribunale di Napoli aveva accolto in via d’urgenza il ricorso di un pensionato campano che chiedeva di fermare il processo di controllo sulle spese da lui sostenute ai fini del redditometro. Per l’uomo l’ampiezza dei dati monitorabili tramite il redditometro permetterebbe all’Agenzia delle Entrate di conoscere ogni aspetto della sua vita quotidiana, ledendo non solo la riservatezza, ma anche la stessa ‘libertà individuale come potenzialità di autodeterminazione’.
Ma la Prima sezione civile del Tribunale partenopeo, lo scorso 11 luglio 2013, ha revocato il provvedimento che aveva dato ragione al contribuente e diffidato l’Agenzia dal proporre un accertamento da redditometro, perché era inficiato da un errore nella procedura.
È sbagliato il ricorso in via d’urgenza: con l’applicazioni del redditometro le violazioni relative alla riservatezza vanno evidenziate con il rito del lavoro.
Quindi chi in futuro vorrà impugnare il redditometro come mera procedura di verifica, sostenendo la violazione del proprio diritto alla privacy, non potrà rivolgersi, dunque, né al Tar né alle Commissioni tributarie, ma solo al giudice ordinario.
Inoltre, si dovrà evitare il ricorso d’urgenza.
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