Non sappiamo se oggi abbiamo raggiunto il punto di non ritorno, ossia la fase in cui gli interessi sul debito pubblico (oltre il 7%) genereranno altro debito, in un avvilupparsi di sabbie mobili, ed in cui lo Stato, ad un certo punto, non riuscirá più a rimborsare i titoli scaduti.
Per la legge della domanda e dell’offerta, ed anche per il rischio Paese:
più titoli di stato tentiamo di vendere tanto minore ne sarà il prezzo, e di risulta tanto maggiore gli interessi passivi.
Se chi compra sa che abbiamo bisogno di rinnovare i titoli (e domani c’è un’asta da 5 miliardi), ha sicuramente il coltello dalla parte del manico e può dettare le condizioni dell’acquisto, ossia “il prezzo ed il rendimento”.
Le varie manovre varate ed in corso non faranno certamente scendere lo spread, le dimissioni tardive del premier non faranno scendere gli interessi, è quasi troppo tardi. Solo quando ritorneremo ad essere un Paese solido e credibile potremo riavere, forse, la fiducia degli investitori ed avere credito a minor prezzo.
Ció putroppo succederà, utopisticamente, quando i compratori capiranno che abbiamo meno fretta di rinnovare il debito scaduto.
Il nostro debito pubblico “era ed è una bomba ad orologeria”, non per l’importo (1920 milardi di euro) ma per il rapporto sul prodotto interno lordo (120%), che fa presupporre che le entrate erariali non siano sufficienti a pagare gli interessi ed è per questo che tutti si battono per la crescita economica.
La paura dei possessori di titoli italiani, di non vedersi rimborsati i propri soldi, ha scatenato l’ondata di vendite.
Una paura razionale, purtroppo, fino a giugno c’era solo un grande debito ma una classe politica solida, poi quando è mancata qest’ultima in credibilità, dalla paura siamo passati ai fatti ed i mercati hanno reagito disfacendosi massicciamente dei nostri pezzi di carta.
Una classe dirigente credibile sarebbe occorsa tre mesi fa.
Da domani per ristrutturare “l’immobile” si dovrá prima metterlo in sicurezza con grosse iniezioni di cemento armato (patrimoniale e condono) e poi abbellirlo (con le riforme).
Alla fine, fuor di metafora, fino a giugno, il nostro debitone pubblico, superiore per il 20% del PIL, non è stato attaccato solo perchè Tremonti dava grande fiducia all’estero … quando questa fiducia è venuta a mancare si é scatenato l’inferno e qualcuno per i suoi personali interessi non l’ha voluto capire. Basta ringraziare.