Call center, l’obiettivo è di creare 20.000 nuovi posti di lavoro
Negli ultimi anni sono tantissime le aziende che hanno scelto di far emigrare i propri call center nei Paesi esteri, in cui il costo della vita, e di conseguenza anche quello del lavoro, è decisamente minore rispetto a quello presente in Italia.
Il governo pare voler porre l’attenzione su questo fenomeno che ha creato la perdita di posti di lavoro a moltissimi italiani che svolgevano la propria attività all’interno dei vari call center presenti sul nostro territorio. In particolar modo è il Ministero dello Sviluppo economico, e il relativo ministro Carlo Calenda, a proporre la stipula di una sorta di accordo tra le aziende italiane del settore delle telecomunicazioni, dell’energia e dei servizi televisivi a pagamento, che si avvalgono maggiormente di call center esteri.
Il Protocollo d’intesa che si andrebbe a firmare per il rimpatrio dei call center dovrebbe portare alla creazione di almeno 20.000 posti di lavoro, una gran bella scossa per il mercato del lavoro che è sempre più in crisi, così come confermano i rapporti dell’Inps e dell’Istat, i quali ultimamente non fanno che portare brutte notizie riguardo i risultati del tanto millantato Jobs Act, riforma del lavoro varata dal governo Renzi che pare aver fatto più danni che altro.
Ovviamente, così come accade per molte cose, giungono pareri discordanti da parte delle associazioni sindacali: la Cisl e la Uil appaiono entusiaste dell’iniziativa del Ministero dello Sviluppo economico, dichiarando come sia positivo riportare l’attenzione su un mondo abbandonato, quale quello dei call center.
Totalmente diverso è invece il giudizio della Cgil, per la quale il segretario Marco De Cimmuto dichiara: “Ci sembra un provvedimento inefficace perché stabilire un tetto del 20% alle delocalizzazioni, non significa solo riportare posti in patria, ma anche incentivare chi non l’ha ancora fatto ad andare all’estero, per un 20% appunto”.
Sempre secondo la Cgil, la questione dei call center sarebbe legata ad una strategia rivolta alle elezioni.
Insomma, c’è da sperare che il settore dei call center, che coinvolge migliaia di lavoratori (molti dei quali ormai ex, purtroppo), non sia utilizzato con fini puramente politici, ma che si vada veramente alla ricerca di una modalità per creare in Italia nuovi posti di lavoro, ponendo l’attenzione sulle condizioni lavorative di coloro che svolgono la propria attività all’interno dei call center, nonché sulle loro retribuzioni, spesso troppo basse per l’orario svolto e sulla mole di lavoro cui sono sottoposti ogni giorno.
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