#pinomerola
La Riforma del Lavoro toccherà anche l’istituto della associazione in partecipazione, fissando limiti più severi per la sua attivazione, come:
- L’incremento dell’aliquota contributiva inps;
- La fissazione di un tetto numerico massimo di associati;
- La previsione di maggiori verifiche sul rispetto degli obblighi informativi dell’impresa associante.
Queste le novità che l’esecutivo vuole introdurre per limitare la notevole ricorrenza all’istituto dell’associazione in partecipazione.
L’assoggettamento ai contributi previdenziali del contratto di associazione è già uguale agli altri contratti di collaborazione, con l’obbligo di iscrizione DELL’ASSOCIATO alla gestione separata INPS ed al pagamento dei contributi PREVIDENZIALI nella misura del 27,72 per cento calcolato sugli importi ricevuti dall’Impresa.
A questo dovrebbe anche aggiungersi, per cercare di limitare il ricorso all’associazione in partecipazione, l’introduzione di un tetto massimo di associati ( forse 5 compreso l’associante) che apportino “capitale e lavoro” o “solo lavoro”.
L’associazione in partecipazione è quell’istituto giuridico mediante il quale un’imprenditore detto associante, si accorda con un altro soggetto detto associato, affinchè quest’ultimo collabori con il proprio lavoro o “lavoro e capitale” in cambio di una percentuale (stabilita in contratto) sugli utili conseguiti dall’Impresa.
La sua duttilità però ne favorisce spesso l’impiego “per celare” un rapporto di lavoro subordinato o una coadiuzione familiare (impresa familiare).
Questo perchè tale tipo di rapporto consente teoricamente di pagare meno contributi previdenziali ed assistenziali e meno imposte suii redditi. Ciò perchè la base imponibile, sia ai fini delle imposte dirette che ai fini della contribuzione previdenziale, è legata al risultato d’esercizio dell’impresa associante.
Nel caso invece di una impresa familiare o di un rapporto di lavoro subordinato tali versamenti sono più o meno costanti e non correlati all’andamento economico dell’attività, in quanto gli importi da corrispondere sono fissi .
Questo perchè tale tipo di rapporto consente teoricamente di pagare meno contributi previdenziali ed assistenziali e meno imposte suii redditi. Ciò perchè la base imponibile, sia ai fini delle imposte dirette che ai fini della contribuzione previdenziale, è legata al risultato d’esercizio dell’impresa associante.
Nel caso invece di una impresa familiare o di un rapporto di lavoro subordinato tali versamenti sono più o meno costanti e non correlati all’andamento economico dell’attività, in quanto gli importi da corrispondere sono fissi .
Per tale motivo il Governo ha intenzione di introdurre dei paletti all’utilizzo di tale forma di partecipazione all’impresa, laddove non ci siano le condizioni previste per legge per poter stipulare tale particolare tipo di contratto, come ad esempio la mancanza di informazioni rese dell’impresa associante nei confronti degli associati e l’obbligo di rendicontazione che nella maggioranza dei casi non è osservato.
ESEMPIO di utilizzo distorto della associazione in partecipazione:
L’Impresa individuale Rossi ha bisogno di un lavoratore all’interno della sua azienda. Un suo familiare o persona di sua fiducia, rendendosi disponibile, inizia la collaborazione stabilendo anche un importo fisso mensile a titolo di stipendio. Anzichè utilizzare l’assunzione, si stipula un contratto di associazione in partecipazione, celando una pseudo società.
Il contratto viene regolarmente registrato sia all’Ufficio del Registro, sia all’Inps che all’INAIL. La convenienza (che per inciso è pura evasione) è palese, difatti l’importo dei contributi che pagherà l’associante per conto dell’associato è legato all’utile che consegue l’impresa.
Se ad esempio nel contratto di associazione in partecipazione è stabilito che l’associato percepirà il 20% degli utili conseguiti dall’azienda e questi utili, continuando nell’esempio sono di 20.000 euro, l’associante percepirà formalmente 4.000 euro sui quali sarà operata la ritenuta d’acconto a titolo di imposta IRPEF e sarà pagata l’INPS con l’aliquota suddetta del 27,72% che scende al 18% se l’associato ha un’altra copertura previdenziale.
Ecco che in tal modo, sia pur l’associato percepisca un vero e proprio stipendio ( a questo punto a nero), tutto risulterebbe formalmente in regola. L’imprenditore risparmierà evadendo tasse e contributi parecchi soldi.
Il Governo a questo punto, vuole verificare che i contratti di associazione in essere siano in regola con i dettami stabiliti dal codice civile come:
- l’obbligo dell’impresa associante di informare l’associato sull’andamento aziendale;
- l’obbligo di rendicontazione di fine anno da comunicare all’associato.