Tra i toni allarmistici di media e alcune forze politiche, gli sbarchi tornano a far notizia. Eppure i numeri sono molto più bassi di quelli di altri periodi. Ma le criticità del sistema di accoglienza non permettono una gestione ordinata del fenomeno.
I numeri degli sbarchi
Nelle ultime settimane, il tema degli sbarchi di migranti è tornato di attualità, sempre trattato con toni allarmistici da parte di media e forze politiche (si parla infatti di “emergenza”, “invasione”, “collasso”).
Guardando i dati, però, i numeri sono ben lontani rispetto a quelli degli anni di massima pressione. Fino al 21 agosto, gli sbarchi del 2020 sono stati poco più di 17 mila, ben al di sotto di quanto avvenuto nel 2014 (170 mila) e nel 2016 (181 mila). Di conseguenza, anche la presenza nei centri di accoglienza è sensibilmente diminuita, dai 180 mila di fine 2017 ai 60 mila di oggi.
Perché, allora, si continua a parlare di “emergenza”? Probabilmente perché l’Italia, anche quando la pressione migratoria si è allentata, non è riuscita a superare le criticità (ormai croniche) del sistema di accoglienza, con la speranza che la riduzione dei flussi – seguita agli accordi con la Libia – bastasse a risolvere i problemi.
Se si confrontano i dati italiani con quelli degli altri paesi europei emergono chiaramente le anomalie del nostro sistema: se in passato l’Italia era tra i paesi più “generosi” in termini di accoglimento delle domande d’asilo (addirittura l’80 per cento nel 2012), dal 2015 al 2018 le richieste accettate sono state meno del 40 per cento del totale. Nel 2019, poi, a seguito della legge 132/2018 (“decreto Salvini”), il numero si è ulteriormente abbassato (19,7 per cento, circa la metà rispetto alla media europea).
I permessi rilasciati
Il decreto Salvini,
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