Quando un’impresa riceve un accertamento induttivo per omessa dichiarazione dei redditi, e successivamente ne viene dichiarato il fallimento, l’atto è annullabile. Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 19602/2015 deposita in data 1.10.2015.
La Corte di Cassazione con la sentenza in epigrafe ha affermato che l’impresa in perdita d’esercizio, come risultante dal bilancio, senza presentazione, può ottenere annullamento dell’accertamento induttivo notificato al contribuente in conseguenza della omessa dichiarazione dei redditi e IVA, se successivamente subisce la dichiarazione di fallimento, che lascia supporre l’effettiva perdita subita anche se non ha presentato la dichiarazione dei redditi medesima.
Il giudice tributario, recita la Cassazione, è tenuto a valutare nel merito la ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio in conseguenza dell’omessa dichiarazione del contribuente.
Fatti di causa. L’accertamento induttivo era stato notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società dopo aver rilevato l’omessa presentazione della dichiarazione reddituale e IVA. L’Ufficio accertava, con metodo induttivo, IMPONIBILI NON DICHIARATI calcolati sulla redditività presunta fondata sui ricavi di imprese similari esistenti nella zona limitrofa alla sede della società accertata.
Ma i giudici di legittimità hanno annullato l’accertamento induttivo precisando che in presenza di presunzioni ‘super semplici’, il giudice è tenuto a valutare se i fatti utilizzati ─ quale fonte indiziaria ─ di maggiore materia imponibile siano congrui rispetto al criterio della normalità economica.
Il fatto stesso che la società successivamente ha dichiarato fallimento è indice concreto di una effettiva perdita subita rispetto alle presunzioni contenute nell’accertamento induttivo, che quindi veniva annullato.
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