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Patti di famiglia: chiarimenti dottrinali e legislativi

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#pinomerola

Con la legge 14 febbraio 2006, n. 55 è stata introdotta nell’ordinamento italiano un’importante novità che riguarda da vicino il mondo dell’impresa. Adeguandosi ad un invito formulato dalla Commissione UE già nel 1994 e, ribadito nel 1998, ove si auspicava che gli ordinamenti dei paesi comunitari si adeguassero a quella legislazione che già era presente in Francia ed in Spagna. Ciò al fine di conservare, in caso di successione, l’integrità aziendale ed inibire la frammentazione della partecipazione al capitale sociale. E’ questo lo scopo cui tende la legge n. 55 del 2006 che ha introdotto nel nostro ordinamento i “Patti di famiglia”. Quattro sono le semplici domande a cui cerchiamo di dare una risposta in questo approfondimento:

1)       A che cosa servono?

2)       Chi li pone in essere?

3)       In che cosa consistono?

4)       Come si attuano?

1)    A cosa servono: quando Napoleone insisteva affinchè venisse introdotto il divieto dei patti successori per porre un segno di discontinuità con quello che era l’ordinamento successorio preesistente a carattere feudale teso ad assicurare l’integrità del patrimonio, certo non poteva pensare che avrebbe posto nel XXI secolo un problema al nostro Legislatore, il quale sarebbe stato costretto a revocare il divieto dei patti successori ed ad introdurre norme che garantissero l’integrità del patrimonio ereditario. Ed è questo che il legislatore ha fatto con la legge n. 55/2006. Dunque, la finalità di questa è quella di assicurare la trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni societarie in maniera tale da sottrarle alla frammentazione successoria.

2)    Chi li pone in essere: sotto tale profilo la legge è chiara dato che chi può disporre dell’azienda o delle quote societarie è l’imprenditore o il titolare delle partecipazioni societarie (nel caso di imprese individuali e di socio di società di persone o di capitali).

3)    In cosa consistono: per l’imprenditore non ci sono problemi in quanto oggetto del patto è l’asset azienda, ovvero ai sensi dell’articolo 2555 del codice civile, “quel complesso eterogeneo di beni organizzati dall’imprenditore per lo svolgimento della sua attività”. Il nostro ordinamento contempla la disciplina del trasferimento unitario dell’azienda Qualche riflessione un po’ approfondita deve essere fatta quando oggetto del trasferimento sono le quote societarie. Dunque, oggetto di trasferimento effettuato con le modalità del patto di famiglia potranno essere solo quelle partecipazioni societarie che consentano la direzione ed il controllo.

Quindi, una partecipazione di minoranza ( a meno che non vada a sommarsi con una partecipazione già detenuta dal beneficiario) non potrà essere trasferita con la modalità del patto di famiglia. Nel caso in cui oggetto del patto di famiglia sia una partecipazione societaria occorrerà fare attenzione particolare allo statuto societario. Sovente, nello statuto che siano inserite clausole di prelazione o di godimento. Minori preoccupazioni le pone la clausola di prelazione in quanto questa è inefficace dinanzi al trasferimento a titolo gratuito tra disponente ed il beneficiario. Ben più problematica è la questione riguardante la presenza di una clausola di godimento o di gradimento, eccessivamente sdoganata dal legislatore. Tale clausola di gradimento non è ostativa qualora il trasferente possieda il controllo dell’organo (CDA o Assemblea dei soci). Occorre ricordare che la sua soppressione dallo statuto può porre dei problemi in quanto può legittimare il recesso dei soci dissenzienti.

4)    Come si attuano: in tale caso occorre dare una risposta multipla. Sul piano formale, è un contratto che deve essere redatto in forma pubblica al quale devono partecipare tutti coloro che sarebbero legittimati se la successione si aprisse in quel momento (articolo 768 quater Codice Civile). Tale contratto è dotato di immediata efficacia traslativa. La previsione dell’articolo 768 quater del Codice Civile va coordinata con l’articolo 768 sexies, il quale prevede il caso di “coloro che non abbiano partecipato al contratto”. Si ritiene che questa seconda categoria di soggetti siano coloro i quali non esistevano o non avevano la qualifica per partecipare al momento della stipulazione del patto: un nuovo coniuge, figli sopraggiunti o riconosciuti o adottati e comunque soggetti che al momento del patto sarebbero stati legittimati alla partecipazione.

Il meccanismo attuativo posto in essere dalle leggi prevede che, con il patto di famiglia, l’azienda/partecipazione si trasferisca in capo al beneficiario ed in capo a questo sorga l’obbligo di liquidare i legittimari con una somma corrispondente al valore delle quote spettanti ai legittimari come se la successione si fosse aperta in quel momento. E’ chiaro, allora, che l’onere finanziario che, in tale modo, si pone a carico del beneficiario possa rappresentare uno dei momenti più critici della legge in quanto impone a questo soggetto di liquidare i coeredi imponendogli uno sforzo finanziario che potrebbe non essere indifferente.

 

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