I problemi interni della Turchia spingono Erdogan all’attivismo militare in molte zone critiche del Medio Oriente, per riguadagnare popolarità. Ma sarà difficile per la Nato continuare a ritenere la Turchia un alleato fedele da rispettare e proteggere.
I fronti aperti
Dall’ottobre 2019 l’esercito turco ha occupato alcune regioni settentrionali della Siria al fine di “contrastare le forze curde”. All’inizio dell’anno l’intervento turco in Libia ha permesso a Fayez al-Sarraj, presidente del Governo di accordo nazionale, di respingere gli attacchi di Khalifa Haftar. Il mese scorso droni turchi, in appoggio alle milizie sunnite, hanno ucciso alcuni ufficiali dell’esercito iracheno in Iraq. In questi giorni milizie turche stanno cercando di infiltrarsi nel nord del Libano, rifornendo di armi le fazioni sunnite. Da tempo, poi, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sostiene attivamente il governo di Hamas a Gaza e le associazioni islamiche in Cisgiordania. A completare il quadro, la Turchia è l’unico paese della regione che non ha relazioni diplomatiche con l’Armenia e Cipro, né relazioni a livello di ambasciatori con Siria, Israele, Egitto e sta pensando di ritirare i suoi emissari negli Emirati Arabi Uniti dopo il loro recente “storico accordo” di pace raggiunto con Israele, al fine di manifestare “solidarietà alla causa palestinese”. A questo si aggiunge il recente atteggiamento aggressivo nel Mediterraneo orientale, dove navi turche hanno iniziato a esplorare i fondali alla ricerca di idrocarburi, in barba agli sforzi internazionali per trovare una soluzione diplomatica alle controversie sui confini marittimi, mentre la situazione rimane tesa al largo della cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord, nata dall’invasione delle forze turche nel 1974. Non male per un paese membro a pieno titolo della Nato, che ospita a Incirlik una importantissima base nucleare americana ed è sempre stato considerato un alleato strategico dagli Stati Uniti,