Pur se con molta prudenza, l’Italia ha avviato una revisione della spesa, certificata nella legge di bilancio. L’instabilità politica lascia invece la Spagna ferma alla fase degli annunci. A frenare sui tagli sono spesso i partiti populisti al governo.
Tempo di nuove spending review?
Vari governi italiani si sono cimentati con forme di spending review, ma sempre con scarso successo. Il tema potrebbe ora tornare di attualità, in un periodo in cui si ha necessità di concentrare e utilizzare le risorse pubbliche nel modo più efficiente possibile. E infatti se ne discute in quasi tutti i paesi dell’Unione europea.
Può allora essere interessante capire se ci sono differenze nel modo in cui la questione viene affrontata in due nazioni simili per struttura economica e tradizioni politiche, come Italia e Spagna. Tra l’altro, entrambe sono state colpite in modo molto forte dal Covid-19.
Cosa ha fatto l’Italia
Partiamo dall’Italia. Nel 2013, il governo Monti ha istituito la figura del commissario alla spending review, nominando Enrico Bondi. Prima Bondi e poi Carlo Cottarelli (governo Letta) hanno previsto grandi spazi di manovra per il taglio delle spese. Cottarelli in particolare aveva previsto risparmi pari a 7 miliardi di euro nel 2014, 18,1 miliardi nel 2015 e ben 33,9 miliardi nel 2016. In gran parte dovevano provenire da misure di efficientamento diretto, in particolar modo da un numero maggiore di beni e servizi acquisiti in maniera centralizzata; dalla riorganizzazione e digitalizzazione degli uffici pubblici, specie quelli degli enti territoriali; dalla riduzione di trasferimenti inefficienti e da un maggior controllo delle spese ministeriali.
Tuttavia, finora i documenti di bilancio riportano stime molto più che prudenziali sul taglio delle spese. Ad esempio, il Documento di economia e finanza (Def) 2019 aveva annunciato “un paziente lavoro di revisione della spesa corrente”,