La politica continua a intervenire nelle nomine ai vertici delle Autorità di regolazione. Così le scelte non tengono conto dei criteri di indipendenza e competenza, come invece prevede la legge. Le nomine Agcom ne sono l’ultimo esempio.
La politica e le nomine all’Agcom
Nel 2013, pubblicammo su la voce.info un articolo critico sulle nomine all’appena istituita Autorità di regolazione dei trasporti. Il titolo “Autorità dei trasporti: qui comanda la politica”. Quanto è successo dopo, nelle varie tornate di nomine che hanno interessato le autorità indipendenti italiane, ha confermato quel titolo. Certamente, lo rendono ancor più valido le recenti nomine all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
Il consiglio dell’Agcom è formato dal presidente e da quattro componenti. Tutti sono nominati mediante decreto del presidente della repubblica: il presidente dell’Autorità su proposta del presidente del Consiglio d’intesa con il ministro dello Sviluppo economico e previo parere delle competenti commissioni parlamentari; i quattro componenti sono eletti, secondo quote paritarie, da Senato e Camera dei deputati.
Nella procedura di nomina che si è appena conclusa, l’intervento della politica è facilmente documentabile: lo si vede in primo luogo nella spartizione tra i partiti che è stata compiuta; in secondo luogo, nell’effetto che la spartizione ha avuto: sono entrati nel collegio dell’Autorità due componenti graditi a Forza Italia (ossia a Silvio Berlusconi e a Mediaset) – uno voluto da FI, l’altro sostenuto da FI e dalla Lega.
Il primo aspetto conferma un costume antico e ovviamente discutibile, tanto più che in questa occasione Senato e Camera non hanno pubblicato avvisi con la sollecitazione alla presentazione di candidature, come invece era avvenuto nel 2012 in occasione della precedente tornata di nomine, e come è avvenuto adesso per la contemporanea tornata di nomine al Garante della privacy.
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