Il decreto Cura Italia non da quasi nulla ad imprese e professionisti ad integrazione delle perdite da mancati incassi, e ai professionisti iscritti a case previdenza diverse dall’INPS neanche l’indennizzo (già molto insufficiente) di 600 euro a favore delle partite iva per il mese di marzo 2020.
Tutti gli autonomi iscritti a casse previdenziali private (avvocati, architetti, commercialisti ecc.) non avranno diritto ai 600 euro di risarcimento – indennizzo.
A parte eventuali nuovi decreti successivi, il decretone Cura Italia, varato oggi dal Cdm, stanzia 25 miliardi a detta loro per sostenere l’economia e non riconosce nulla ad una fascia di autonomi che sta vivendo un periodo difficile.
Il testo è coraggioso ma se fosse un tema sarebbe anche fuori traccia, come l’istituzione di un fondo per il Made in Italy e l’internazionalizzazione delle eccellenze italiane, in un momento in cui gli unici venti che soffiano sono quelli del blocco delle produzioni).
delle tasse, posticipate a partire da 31 maggio 2020 – un orizzonte in realtà vicinissimo, anche se sarà possibile rateizzare fino a cinque mesi il dovuto. Ma anche questa previsione esclude dal sostegno diretto chi ad esempio abbia una partita Iva agevolata e già ora non versi Irpef né Iva ma non per questo può dirsi esente dai contraccolpi dello stop produttivo generale.
La stessa terminologia del decreto è pensata più per le attività commerciali e artigianali, indubbiamente massacrate da questo tzunami virologico, che non per i liberi professionisti. Lo dimostra il testo della norma che permette di bloccare per nove mesi – non più 18 come inizialmente paventato – il mutuo sulla prima casa. L’articolo che estende l’accesso al fondo di solidarietà sui mutui, o Fondo Gasparrini, anche alle partite Iva, infatti, parla – sempre nella versione fatta circolare nella bozza del decreto – di accesso al fondo ai “lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che autocertifichino” un calo del proprio fatturato superiore al 33% rispetto a quanto fatturato nel primo trimestre del 2019 “in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus”.
Una condizione che si applica benissimo a un parrucchiere o a un negozio, ma non a una professione: come dovrebbe dimostrare un avvocato la diminuzione della clientela in un così breve lasso di tempo? Quale elemento certifica l’impatto del coronavirus sul suo reddito quando la natura dell’attività di consulenza non sempre è definita a ore ed è anzi per definizione slegata dal tempo e connessa invece un progetto, a un obiettivo (es. ottenere sentenza di divorzio)? Un ragionamento che si può estendere anche ad altre attività intellettuali.
Anche la sospensione dell’obbligo di versamento delle ritenute d’acconto – che pesano sul 20% della parcella – per le partite Iva e le aziende che non fatturino oltre 400 mila euro l’anno, contiene un filtro mal digeribile dai professionisti. Che sono esentati “a condizione che nel mese precedente non abbiano sostenuto spese per prestazioni di lavoro dipendente o assimilato”. Una disposizione anche in questo caso concepita in base al principio del bastone e della carota, perché è difficile che per il proprio lavoro, i liberi professionisti non si avvalgano di collaboratori o prestazioni di terzi per svolgere la propria attività.
Il paradosso più evidente, poi, riguarda i commercialisti che vivono tra l’incudine e il martello, dove l’incudine è la sospensione dei termini per il versamento delle tasse – attività che è alla base dei guadagni dei consulenti tributari – e il martello è l’articolo del decreto che non congela invece la scadenza per la presentazione del 730 precompilato (da presentare entro il 31 marzo). Una combo che di fatto costringe la categoria a lavorare – sono sempre i commercialisti, infatti, gli esperti deputati al controllo e alla comunicazione del 730, salvo casi in cui i cittadini abbiano le competenze per muoversi in autonomia nel ginepraio fiscale italiano – ma senza poter contare su adeguati indennizzi.
Manca ancora il testo definitivo, ma date le premesse e sondato anche l’umore di ordini professionali e categorie, è chiaro che queste prime misure siano fortemente sbilanciate, come del resto ci si attendeva. Impossibile costruire in pochi giorni ammortizzatori ad hoc che necessitano di anni di affinamento.
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https://www.rivistafiscaleweb.it/indennizzo-di-600-euro-per-tutte-le-partite-iva-autonomi-artigiani-commercianti/
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